Soffrire come dannati o imbottirsi di farmaci. Accettare il dolore e portarselo dietro come una croce o buttar giù antidolorifici fino a che l’ effetto tossico supera quello terapeutico. Qui si parla di dolore. Quello fisico. Un mal di testa devastante o una spina conficcata nella schiena, un male che si attacca al corpo e non se ne va. I medici lo chiamano «dolore cronico». È quello, non oncologico, che dura da almeno sei mesi e non ha una causa certa. O, se la ha, non va via con i farmaci. «Purtroppo in Italia, forse per motivi religiosi, c’ è ancora l’ idea che se hai un dolore in qualche modo te lo sei meritato e che quindi devi tenertelo. Puoi combatterlo con gli antidolorifici ma non puoi sperare di liberarti di un male che pure ti condiziona la vita pesantemente».
Giancarlo Barolat è un neurochirurgo considerato uno dei maggiori esperti mondiali di dolore. Non solo perché lo ha studiato a lungo prima a Torino poi in America. Ma perché ogni giorno, da quarant’ anni, lo vede negli occhi disperati dei suoi pazienti, lo tocca sui loro volti deformati dalla sofferenza e lo sente anche nel silenzio di chi ha deciso di farla finita. Nell’ istituto che porta il suo nome (Barolat Neuroscience) a Denver, in Colorado, molti pazienti arrivano come in un pellegrinaggio da tutti gli Stati Uniti. Vanno da lui come si va da un santo a chiedere un miracolo, perché lui è il medico italiano che fa sparire il dolore con un microchip. Ha sviluppato una tecnica che non ha effetti collaterali e già ottomila persone portano un suo impianto. L’ intuizione di Barolat, che negli Stati Uniti collabora anche con il Presbyterian St. Luke’ s Medical Center e con lo Sky Ridge Medical Center, è stata quella di applicare la neurostimolazione al dolore.
Ci spieghi la sua tecnica.
«Il nostro sistema nervoso è come un circuito elettrico complessissimo. Il dolore potremmo paragonarlo a un corto circuito. Io sistemo gli elettrodi proprio nel punto in cui passa il “segnale” del dolore. Si tratta di una neurostimolazione del sistema nervoso che sostituisce il dolore con un altro impulso. Naturalmente non è semplice, bisogna essere molto precisi perché se il chip viene messo nel posto sbagliato anche solo di mezzo millimetro, il dolore potrebbe peggiorare. Pensi che il 70% degli interventi sono correttivi, cioè riguardano pazienti a cui avevano impiantato un sistema di elettrostimolazione in modo sbagliato».
Professore, ma lei davvero guarisce da tutti i dolori?
«Da tutti tranne da quelli oncologici. Mi occupo del dolore cronico, quello che uccide lentamente perché la sofferenza che deriva dal cancro è limitata nel tempo. Ci sono invece dolori che accompagnano una persona per il resto della vita. È una condizione che trasforma l’ esistenza in un inferno. Diversi pazienti mi hanno confessato di aver pensato seriamente al suicidio».
Il dolore cronico ha delle ricadute sociali e costi enormi: solo in Italia ne soffrono milioni di persone e, secondo i dati del «Libro Bianco sul dolore cronico» pubblicato da AboutPharma, costano 11,2 miliardi di euro al servizio sanitario tra farmaci ed esami diagnostici e 25,2 miliardi di euro in giornate di lavoro perse e distacchi definitivi dal lavoro. Ci faccia degli esempi di dolori che lei riesce a trattare.
«Mal di schiena, dolori lombari, cervicali, cefalee. C’ è chi non si riprende da interventi sulla colonna vertebrale, che vive con lancinanti dolori articolari, disturbi della vescica, neuropatie. Ci sono tantissimi esempi».
Ma il dolore sparisce del tutto?
«In media riusciamo a ridurlo dal 60 all’ 80 per cento che è tantissimo se pensa che si parte da livelli di dolore altissimo. Ci sono anche dei casi in cui sparisce completamente, ma questo non accade sempre. Una forte riduzione invece è sempre possibile. In ogni caso avverto sempre i miei pazienti».
Ci sono dei punti precisi in cui si applicano gli elettrodi. E poi, sono visibili?
«Gli elettrodi possono venire impiantati nello spazio epidurale a livello della colonna vertebrale, negli arti o nei tessuti sottocutanei, per stimolare le piccole branche terminali dei nervi. Vengono attivati da un piccolo “pacemaker” impiantato in sede sottocutanea. L’ effetto estetico è esattamente quello del pacemaker cardiaco. Non si vede».
Tutti possono sottoporsi all’ intervento o ci sono limiti di età?
«Nessun limite d’ età. Recentemente ho trattato due pazienti giovanissime. Pensi che una di queste ha quattordici anni, ha avuto un’ infezione virale e le hanno tolto un pezzo di intestino. I medici erano costretti a tenerla in stato di coma in terapia intensiva perché appena la risvegliavano aveva dolori che la facevano urlare tanto erano forti. Non aveva speranza di lasciare l’ ospedale. Le ho installato l’ impianto e, dopo tre giorni, era a casa. L’ ho sentita per gli auguri di Natale ed era una ragazzina felice».
C’ è un altro caso che ricorda più di altri?
«Una tredicenne che era in ospedale da due mesi a cui somministravano oppioidi in vena per lenirle il dolore dopo un intervento chirurgico all’ addome. Lei non viveva più la sua vita di ragazzina, era in uno stato di profonda sofferenza, dopo l’ impianto è come se fosse rinata. Con lei, come con molti altri pazienti, ho mantenuto legami molto stretti».
Perché ha lasciato l’ Italia?
«Perché avevo delle idee, il mio sogno di fare ricerca nel campo del dolore e intorno ai 28 anni ho capito che solo andando via potevo realizzarlo. In Italia c’ è troppa burocrazia e poca meritocrazia. Sono sicuro che se fossi rimasto a Torino, come in qualsiasi altra città, non sarei arrivato dove sono adesso in America».
Però ha creato un centro anche qui in Italia… «Sì, il Barolat Neuromodulation Institute Europe che ha sede ad Appiano Gentile. Ci lavora un team di specialisti che ho scelto e formato personalmente. Sono medici che eseguono il trattamento e che conoscono alla perfezione il metodo da seguire. Di solito riuniamo i casi più complicati in uno o due giorni e mi organizzo per esserci, altrimenti seguo via Skype i miei colleghi».
L’ intervento si effettua in anestesia generale?
«Dipende. In ogni caso ad elettrodo posizionato, il paziente deve essere sveglio e darci un feed back, deve collaborare e aiutarci a capire se il dispositivo è inserito nel punto giusto».
In quanto tempo si applica l’ impianto?
«Sono necessarie due sedute: una di prova per valutare l’ efficacia della neurostimolazione e l’ altra per l’ impianto definitivo, che avviene in day hospital. Sono poi necessari dei controlli periodici una o due volte l’ anno».
Quanto costa l’ intervento? Possono permetterselo tutti?
«Il grande problema è il costo dell’ impianto che va dai 15mila ai 20mila euro. A questo bisogna aggiungere la prestazione professionale».
Non tutti possono permetterselo…
«Lo passa anche il sistema sanitario nazionale con tempi di attesa più lunghi».
Ha altri progetti?
«In quarant’ anni ho realizzato il mio sogno. Per me è diventata una missione. Mi piace restituire ai miei pazienti la gioia di vivere. Volevo fare questo: eliminare o ridurre la sofferenza. Ogni mattina vado a lavorare con l’ entusiasmo degli inizi perché so che quel giorno qualcuno smetterà di soffrire le pene dell’ inferno».